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MAURIZIO CHELI

A COME ASTRONAUTA
Testo di Elisabetta Riva – Foto Archivio Maurizio Cheli – Giovanni Mecati

Nella teoria della relatività non esiste un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo.
“Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora”: con queste semplici parole Albert Einstein trovò un modo molto efficace e semplice per spiegare che di fatto anche il tempo è relativo e non soltanto perché quello misurato dagli orologi è ben diverso dal tempo che percepiamo e viviamo. Certo, che il tempo sia relativo ce lo dicono da secoli anche i filosofi, e non è un caso che molti grandi fisici della storia fossero, e siano, a loro volta anche filosofi.
Non è un filosofo ma ha fatto diretta esperienza, in almeno tre occasioni, di come non esista un tempo unico assoluto Maurizio Cheli, pilota collaudatore, astronauta, imprenditore e, oggi, anche conferenziere.
Prima di parlare di quali siano state queste tre occasioni, che ci ha raccontato personalmente, desideriamo sintetizzare, nei limiti del possibile, la biografia di Maurizio Cheli, la cui vita, se fosse un film, sarebbe certamente Big Fish, le storie di una vita incredibile, di Tim Burton.
Cheli nasce a Zocca, cittadina modenese che ha dato i natali anche a Vasco Rossi, la cui celeberrima canzone“Vado al massimo” potrebbe essere la colonna sonora della vita di Maurizio, il 4 maggio 1959. Nel 1978 entra all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli dove consegue la Laurea in Scienze Aeronautiche. Nel 1983 ottiene l’incarico di pilota operativo da ricognizione sul celebre F-104G e nel 1988 si classifica primo del corso all’Empire Test Pilot’s School di Boscombe Down, nel Regno Unito, diventando così pilota collaudatore sperimentatore di velivoli ad alte prestazioni.
Nel 1996 a bordo dello Space Shuttle Columbia partecipa alla missione STS-75 Tethered Satellite in cui ricopre, primo italiano, il ruolo di Mission Specialist. Era la famosa missione del “satellite al guinzaglio”, la prima con due astronauti italiani contemporaneamente a bordo della navetta, Maurizio e Umberto Guidoni.
Nello stesso anno viene assunto da Alenia Aeronautica e ottiene l’incarico di Capo Pilota Collaudatore per velivoli da difesa. È stato responsabile dello sviluppo operativo del caccia europeo Eurofighter Typhoon.
Ha conseguito una Laurea in Ingegneria Aerospaziale all’Università di Houston, USA nel 1994, una Laurea in Scienze Politiche all’Università di Torino nel 2004 e un Master in Business Administration (MBA) all’ESCP Europe di Parigi nel 2007.
Molto curioso e divertente il fatto che la svolta della sua vita, quella cui aveva sempre aspirato, volare nello spazio, sia avvenuta semplicemente rispondendo a un annuncio di giornale per candidarsi per questa professione alla NASA. Maurizio inviò il suo curriculum e grande fu il suo stupore quando venne preso: mai avrebbe potuto immaginare di poter andare nello spazio soltanto rispondendo a un’offerta di lavoro, benché fuori dal comune, su un quotidiano!
Ce lo racconta col sorriso sulle labbra, proprio come fa quando parla di quei tre momenti, a cui abbiamo più sopra accennato, in cui ha provato la sensazione che il tempo sembrasse dilatarsi.
Le prime due circostanze si sono verificate a distanza di due anni quando stava pilotando un aereo e Maurizio si è trovato a pensare “oggi mi devo lanciare” perché aveva l’aereo fuori controllo per ragioni diverse. Ci racconta di aver vissuto momenti in cui per la testa gli è passato di tutto in pochissimi istanti, in frazioni di secondo che però gli sono sembrate minuti: pur sapendo di non essere in pericolo di vita, era anche ben conscio del fatto che la situazione era molto critica, perché perdendo l’aereo avrebbe potuto fare danni seri. Lui stesso si è sorpreso di sé stesso, di come sia riuscito a mantenere la calma e non farsi prendere dal panico: solo dopo aver ripreso il controllo del velivolo con una serie di manovre, gli sono venuti i capelli dritti e gli si è accapponata la pelle! Fino a quel momento ha stupito sé stesso per essere riuscito a rimanere particolarmente calmo e lucido.

DIVENTARE ASTRONAUTA DELLA NASA NON È STATO COMPLICATISSIMO, HO RISPOSTO AD UN ANNUNCIO SUL GIORNALE E MI HANNO ASSUNTO

La terza occasione in cui ha sperimentato quanto il tempo sia relativo si è verificata, invece, quando ha partecipato a una spedizione che ha scalato “il Tetto del mondo”. Sì, fra le tante avventure incredibili di cui è costellata la sua vita, c’è anche la partecipazione alla spedizione che ha raggiunto la vetta dell’Everest alle 5.45 nepalesi del 16 maggio 2018. Tutto nasce da quella volta in cui aveva visto e fotografato l’Everest dall’alto volando sullo Shuttle Columbia della Nasa. Maurizio racconta, infatti, di non essere un alpinista ma di aver sempre amato la montagna e di essere un appassionato di bicicletta che in estate passa tantissimo tempo sulle due ruote, con cui si diverte a fare i colli del Tour de France. Gli piace molto anche camminare, ma prima di pensare alla scalata dell’Everest non aveva mai scalato. L’alpinismo lo attraeva nel gesto e nell’eleganza, ma non si era mai cimentato fino a quel momento.
In questa circostanza Maurizio sperimenta, ancora una volta, come il tempo sembri dilatarsi all’infinito e come tutto divenga più lento: «già sopra una certa quota fai fatica, il tuo respiro diventa corto, muoversi è molto faticoso, fai 1,2, 3, passi e poi ti fermi. Ti fermi per 15, 20, 30 secondi, riparti e poi ti fermi, tutto diventa più lento. Per mettersi un rampone ci vogliono di solito 2 minuti. Lì ce ne vogliono 10».
“La passione è l’ossigeno dell’anima” ha affermato il direttore della fotografia Bill Butler e ci sembra che la frase identifichi perfettamente il carattere di Maurizio Cheli, uomo appassionato che, “andato in pensione” come pilota e astronauta, è oggi un imprenditore: nel 2005 ha fondato CFM Air, una start up che si occupa della progettazione di velivoli leggeri avanzati, e l’anno seguente DigiSky che sviluppa elettronica di bordo per velivoli sportivi. Gli abbiamo chiesto, a tal proposito, come lo faccia sentire il fatto di essere aiutato nel suo lavoro dalla tecnologia. Ci ha risposto con l’esempio dello sviluppo di un caccia o dell’attività di esplorazione spaziale con la robotica (legata alla tecnologia e all’IA) che «fa diminuire moltissimo i rischi che tu devi prendere in quelle imprese perché puoi mandare un robot prima, controllare come è l’ambiente, prepararti per andare poi fisicamente come persona» ma che è fondamentale che la tecnologia non prenda il sopravvento, che sia al servizio dell’uomo e non che l’uomo ne diventi schiavo. Ci ha fatto sorridere quando ci ha raccontato di essere, nel privato, un uomo “mediamente tecnologico”, che col wifi ha meccanizzato un po’ di cose a casa, ma che non è un patito che deve inseguire a tutti i costi gli ultimi ritrovati tecnologici.
Come imprenditore investe molto in sostenibilità, altro tema che gli è molto caro. Come ha affermato alla recente conferenza organizzata da Generali Investments dedicata a “Il futuro degli investimenti tra innovazione e sostenibilità”, «guardandolo dallo spazio, si percepisce bene la fragilità del pianeta e si vede quanto sia sottile la striscia azzurra che lo avvolge, permettendone la vita. Si percepiscono anche i disastrosi effetti umani che si sono tradotti in siccità, inquinamento, deforestazione.
Per salvare il pianeta occorre fare presto. Determinanti sono i comportamenti personali di tutti i giorni, ma lo sono anche le scelte d’investimento. Personalmente investo in innovazione attraverso fondi specializzati in intelligenza artificiale, robotica e biotecnologie e scelgo solo fondi che adottano i criteri di sostenibilità per la composizione del portafoglio».

QUANDO SCHUMI “PERSE COL SORRISO”
L’11 dicembre 2003 Michael Schumacher affrontò un caccia Eurofighter Typhoon, ai cui comandi c’era Maurizio Cheli, a bordo della sua F2003GA: accadde all’Aeroporto “Corrado Baccarini” di Grosseto, sede di quel 4° Stormo che ha come simbolo proprio quel Cavallino Rampante che la famiglia di Francesco Baracca cedette a Enzo Ferrari come emblema delle sue auto da corsa.
La sfida era composta da tre prove su lunghezze diverse, per “pareggiare” il più possibile i valori in campo ed evitare favoritismi. Il successo finale andò all’aereo per 2 a 1.
«Non mi ero mai trovato di fronte a un mito del genere» racconta Cheli. «Scoprii una persona semplice, alla mano, a tratti timida, che contrastava con l’aggressività che Schumacher esprimeva in pista».


PER SAPERNE DI PIÙ

Tutto in un istante
Maurizio Cheli

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