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CHIARA DEL VECCHIO

SFOCATE EMOZIONI
TESTO DI CHIARA LA ROTONDA – FOTO DI MICHAEL FIEDLER | EMANUELE FORTE | DANILO RENATO FLOREANI

Chiara Del Vecchio (Milano, 1985).
Artista da oltre 10 anni, vive e lavora tra Milano e New York, dove ha fondato una sua galleria.
Artista poliedrica, le sue opere variano notevolmente nel motivo, ma le accomuna la continua ricerca ed esplorazione sulla standardizzazione dell’essere umano.
L’aerografo è il suo strumento artistico, il tratto sfuocato è la chiave per suscitare emozioni in una società dei consumi sottomessa dall’apatia dei dettagli.
Dove e quando nasce la tua passione per l’arte ?
“Sono nata con la matita in mano” diceva mio nonno. Figlia e nipote di bancari, il mio percorso è stato inusuale, infatti in famiglia tutti speravano in un lavoro stabile, ma fin da bambina avevo le idee chiare: volevo essere un’artista e lo sarei diventata. Dipingo da quando ne ho memoria, ricordo che il mio negozio preferito da piccola era proprio il colorificio sotto casa dove mi perdevo per ore tra i colori e le tele, poi tornavo a casa e ogni occasione era una scusa buona per dipingere.
La piccola gallerista che c’era in me, riusciva già da piccolissima a far appendere i suoi quadri anche tra i banchi di scuola.
C’è una persona o un’artista che è stato determinante in nella tua carriera ?
Non c’è una corrente artistica che mi ha appassionata più di un’altra, nasco da autodidatta, sono curiosa, mi perdo nelle opere, sono in costante ricerca di ispirazione.
Ho avuto vari fasi: sono partita dalla grafite, olio, ho variato molto, poi il mio gusto e la mia necessità di esprimermi hanno incontrato quello che oggi è il mio strumento d’arte, l’aerografo.

DA LONTANO LE MIE OPERE SEMBRANO QUASI DELLE FOTOGRAFIE, DA VICINO SI COMPRENDONO E SI VEDE QUELLA CHE È LA MIA ARTE.

Da lontano le mie opere sembrano quasi delle fotografie, da vicino si comprendono e si vede quella che è la mia arte. L’aerografo rende il tratto sfuocato e obbliga lo spettatore a una reazione che mi piace definire “attiva”. L’osservatore riconosce il soggetto dell’opera, ma mancano i dettagli, questo fa sì che si attivi il gioco della memoria. Dove non arriva la visione arriva l’immaginazione, l’osservatore crea un viaggio della sua memoria in ogni mia opera.
In tutta la mia carriera, non ho mai avuto bisogno di esprimere dolore e frustrazione nelle mie opere, ho sempre cercato una forma d’arte in cui sentirmi pienamente appagata. In età adolescenziale un evento mi ha segnato, la perdita di una persona a me molto vicina, l’arte mi ha salvata perché sono riuscita a trovare pace nei miei lavori.
Le mie collezioni non sono arrabbiate, esprimono sogni, memorie e allo stesso tempo sono delle letture critiche sulla società in cui vivo.
Nella tua carriera hai lavorato con molte aziende importanti: quale è stata la collaborazione che ti ha più coinvolto?
Ogni progetto è stato un viaggio unico, se dovessi scegliere, non saprei farlo, ma ricordo benissimo le emozioni di ognuno. Le prime collaborazioni con grandi marchi furono di motori: da FIAT a Maserati, da Ferrari a Piaggio, di queste ricordo la voglia di affermazione, ero all’inizio, non era più un sogno, ma un lavoro.
Con Ferrero c’è stata la mia affermazione come artista riconosciuta anche nel panorama italiano e internazionale, dopo quel periodo infatti ho iniziato a lavorare moltissimo all’estero.
Prada e Calzedonia hanno segnato il mio ritorno in Italia come artista di successo.

In questi anni i tuoi quadri hanno girato il mondo e sono stati acquistati da molte star internazionali: c’è stato un incontro o un quadro che ti hanno commissionato che ti ha emozionato più di altri?
Ho avuto la fortuna di incontrare molte personalità importanti, forse l’occasione più prestigiosa fu quella in cui mi fu commissionata un’opera per Papa Benedetto XVI . Fu un grande onore per me, gliela consegnai di persona durante una cerimonia ufficiale ed è tutt’oggi in vaticano. Completamente agli antitesi, Steven Tyler, il cantante degli Aerosmith, ha acquistato una mia opera a Los Angeles e fu davvero una grandissima emozione, anche perché sono sempre stata una sua fan. Durante la mia carriera, soprattutto i primi tempi, ho sempre tenuto a mente la frase di una sua canzone che dice: “If you don’t have a dream, there is no way to make one come true…” Beh.. che dire…io ho sempre avuto il sogno di fare questo lavoro e ho lavorato duramente per ottenerlo.
Il terzo incontro fu Antonio Banderas, acquistò una mia opera, con grande invidia delle mie amiche (ride).
Proprio in questo momento sto lavorando a un progetto molto importante in ricordo di un giocatore di basket tragicamente mancato.
In una società digitale, frenetica e a volte apatica, l’arte può ancora essere il valore aggiunto ?
In un periodo storico così particolare l’arte supera sé stessa, siamo di fronte a un cambiamento storico importante, non facile per gli addetti ai lavori, ma il covid 19 ha costretto l’arte ad uscire dalle gallerie e a vivere anche attraverso ai social network, diventando quasi popolare, alla portata di un clic.
Avere arte in casa oggi è un vero valore aggiunto anche perché questa nuova realtà ci porta a passare molto più tempo nei nostri appartamenti. L’arte, secondo me, ha perso la sua eccessiva reverenza, oggi viene finalmente vissuta, è un complemento di arredo che provoca piacere e, in un momento di forte apatia, è in grado di creare emozioni.
Se dovessi guardarti indietro cosa consiglieresti alla Chiara di 10 anni fa che stava per intraprendere la sua carriera come artista ?
“Se hai un sogno devi proteggerlo, se vuoi qualcosa lavora per conquistarlo”
Alla Chiara direi di credere in sé stessa, di non farsi abbattere, di seguire il suo istinto e rimanere sempre fedele a sé stessa. È facile snaturarsi in un mondo così materialista ed asservire la propria arte al mercato, ma il segreto è rimanere autentici. Ad oggi non so se ho trovato la formula perfetta, ma guardandomi alle spalle posso dire di essere felice e orgogliosa dell’artista che sono diventata perché ho combattuto tante battaglie, ma sono ciò che volevo essere.